«Ho visto troppi morti, morti evitabili» ci dice il professore al centro delle polemiche per la sua lotta a favore della cura con il plasma contro il Coronavirus.
di Elena Fontanella.
Neppure le agenzie di stampa riescono a stare al passo del dottor Giuseppe De Donno – primario di Pneumologia all’Ospedale Carlo Poma di Mantova – nella sua lotta senza esclusione di colpi per sostenere l’uso del plasma sui pazienti colpiti dal coronavirus.
“Ci è stato comunicato – annuncia De Donno – che le Istituzioni nazionali, grazie all’interessamento di Regione Lombardia, del Presidente Fontana e dell’Assessore Gallera, hanno deciso finalmente di rendere il San Matteo di Pavia ‘principal investigator’ (capofila del progetto di sperimentazione ndr) sull’utilizzo del plasma iperimmune nella cura del coronavirus. È la soluzione che andava presa fin dall’inizio, senza obbligare un piccolo pneumologo di campagna a fare di tutto per richiamare l’attenzione dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e del Ministero della Salute su chi da due mesi usa il plasma per salvare vite umane. Finalmente Mantova, Cremona, Crema, Bergamo – le città con maggiore esperienza nel trattamento del coronavirus – hanno ottenuto un ruolo che spetta loro per motivi etici e di esperienza. Sinceramente continuo a non comprendere perché avessero indicato Pisa… Ritengo folle solo il fatto di averlo pensato. Il primario delle malattie infettive di Pisa ha dichiarato di aver trattato in tutto solo due pazienti, mentre Mantova, solo oggi, ne ho arruolati cinque; lui pochi giorni fa ha dovuto acquistare i macchinari per l’attivazione dei geni patogeni e i kit, mentre noi li abbiamo perché è una attività che facciamo da sempre.”
Tuttavia, l’utilizzo di plasma per curare i virus non è una novità?
“Certo che no! Però, noi abbiamo sviluppato con nostre regole il protocollo usato per Ebola e Sars seguendo la metodologia di lavorazione del plasma data dall’Istituto Nazionale Sangue. Abbiamo cominciato in piena pandemia, quando le persone ci morivamo sotto gli occhi e avevamo bisogno di un’arma da utilizzare subito. Nella fase 1 abbiamo agito su 48 pazienti Covid con grave insufficienza respiratoria, tra i 35 e i 75 anni, ottenendo una mortalità pari a zero e altrettanto ha fatto Pavia. Sono tutti guariti e ritornati a casa. Nel settore della ricerca sono un dato statistico considerevole.”
Si è fatto una sua idea del perché di tanto putiferio?
“Dei dubbi mi sono venuti. Abbiamo realizzato un importante protocollo di ricerca per curare coronavirus nelle aree focolaio, io sono il principale arruolatore clinico del plasma del paziente convalescente, ma guarda caso non ci ha mai cercato nessuno. Ora, improvvisamente dopo due mesi, sono stato convocato in audizione per ben due volte: giovedì in Senato, poi al Parlamento Europeo. Se ci sono dei perchè li dovrebbe spiegare il Ministro e, se il Ministro è distratto, fa un danno al paese.”
Sono parole dure.
“Oggi, l’obiettivo di ISS e AIFA è creare un centro sperimentatore della ricerca scientifica per la cura del coronavirus su cui sviluppare una rete e una casistica sempre più ampia, ma mi domando se ce n’era bisogno. Quanto proposto oggi è una fotocopia di quello che abbiamo già fatto noi. Se, dai primi momenti della pandemia, avessero chiamato Pavia e Mantova per la sperimentazione avremmo potuto disegnare da subito un protocollo che ora sarebbe utile al nostro paese, senza dover aspettare ancora.”
Il dubbio era la sicurezza: la possibilità di trasmissione di malattie dall’uso di sangue iperimmune.
“Ne ho sentite di ogni. Io mi aspettavo che il presidente nazionale AVIS facesse le barricate dopo le ‘parole in libertà’ di alcuni eminenti virologi in trasmissioni televisive. I donatori del plasma iperimmune seguono le stesse regole di controllo dei donatori del sangue in generale e la nostra rete di donazione è una delle più sicure al mondo. Come possiamo mettere il dubbio che il nostro plasma non sia sicuro? Secondo questi scienziati, noi siamo dei ciarlatani che lavorano di nascosto in un retrobottega senza fare controlli? Ho sentito dichiarazioni di assoluta gravità e mi sarei aspettato che il Ministro della Salute intervenisse per dire la verità, per preservare la dignità dei suoi medici e dei suoi ospedali. Ma tant’è… “
Quanto tempo passerà prima che le persone possano essere curate con il plasma?
“Vede, io all’inizio speravo che la politica offrisse una risposta univoca, una strada veloce. Non avevamo bisogno di fare un’altra sperimentazione di Fase 1 mentre siamo in Fase 2. Così, ad oggi, non esiste ancora un trattamento per il Covid-19. L’unico è il plasma che usa gli anticorpi del paziente convalescente come proiettili contro il virus. Ma non si può usare. Addirittura, ora che siamo fuori dalla fase acuta, per utilizzare il plasma devo chiedere l’autorizzazione al Comitato etico, compilare 5 moduli e una relazione paziente per paziente, come se, nel mentre, le persone non morissero… Ma le sembra un paese normale questo? Tutto dipende da quel è l’obiettivo della politica: se osteggiare l’uso del plasma o incentivarlo. Nel mentre, ben venga lo studio delle industrie farmaceutiche, ma per sintetizzare le immunoglobuline ci vogliono mesi, non giorni. Noi medici, nel frattempo, cosa facciamo? “
Perchè si sono alzati i toni?
“Io sono una persona libera e non sono disposto a farmi mettere il bavaglio se credo in quello che faccio. Ho percepito sulla pelle la gogna, il tentativo di mettere in crisi la mia reputazione, di zittirmi. Così ho allargato l’orizzonte: ho avuto 5 milioni di condivisioni sui social e la campagna sostenuta dalla Nazionale Cantanti con Gianluca Pecchini in sole due ore di diretta facebook ha raccolto 27 mila dollari per la ricerca. Ho risposto all’invito dei media per promuovere l’uso del plasma sulla base della mia competenza e della mia esperienza e quando il plasma avrà ottenuto il giusto ruolo nella cura al Covid-19 io arretrerò e tornerò a condurre la mia struttura.”
Verrebbe da chiederle: chi gliel’ha fatto fare di esporsi così?
“Sembra strano a dirsi, ma da quel 24 febbraio, quando si è scatenato tutto, sono una persona diversa, non sono più quello di prima. Non tornerò più ad essere quello di prima. Ho visto troppa morte. Ho visto anche la morte evitabile e questo pensiero mi ossessiona tutte le notti e non mi fa dormire. Anche i miei colleghi hanno le stesse sensazioni: piangiamo con facilità, abbiamo assunto un profilo emotivo di una fragilità impensabile tre mesi fa. Il coronavirus ci ha cambiato per sempre. Sono stati gli occhi impauriti delle persone che sai di non poter aiutare. Per questo ogni piccola cosa fatta per salvare una vita è una missione su cui unirsi e non dividersi. Per questo che io mi arrabbio e vorrei un paese diverso da quello in cui vivo.”